L’arte della concorrenza sleale
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A differenza di quanto si possa pensare, anche su Internet vigono leggi studiate per contrastare la concorrenza sleale. Essendo il web uno strumento gigantesco, però, è stato necessario affinare e specializzare questa normativa.
Questo tipo di concorrenza non si limita solo ad abbassare i prezzi al fine di ledere la concorrenza. Esiste un vero e proprio “mare” di altre azioni che si possono compiere, volontariamente o meno, che ricadono in questo reato.
Oggi andiamo ad analizzare tutte le forme di concorrenza sleale più presenti sul web che vanno a danneggiare e ledere le aziende competitor, ottenendo così un vantaggio strategico, capace di travisare oppure plagiare gli utenti con l’obiettivo finale di aumentare le proprie vendite e la propria popolarità approfittando dell’errore.
La concorrenza sleale parte dal dominio di un sito web.
Innanzitutto chiariamo una cosa: il dominio di un sito web è tutto quello che succede la dicitura https://www. In poche parole, possiamo pensarlo come il nome che identifica un’azienda sul web.
Va da sé che questo è univoco ed appartiene solo a quella specifica azienda. Corretto? Teoricamente sì, ma purtroppo non è sempre così.
Esiste infatti una “tipologia” di concorrenza sleale, chiamata “domain grabbing”, con la quale viene creato un dominio uguale o molto simile a quello di un’altra azienda. Questa azione viene compiuta fondamentalmente per sviare la clientela di un’altra azienda sul proprio sito, ottenendo così un sostanziale aumento di traffico e, molto spesso, un aumento delle vendite.
Un altro caso molto comune è quello di acquistare domini corrispondenti a marchi famosi per sfruttarne la notorietà per poi vendere il dominio al marchio proprietario ottenendo così un arricchimento indebito.
Facciamo un esempio per chiarire meglio la questione!
Conosciamo tutti molto bene la Nutella. Un malintenzionato decide di effettuare una ricerca e scopre che il dominio “nutella.org” ancora non è stato registrato. Acquista questo dominio e costruisce un sito web atto a sviare i clienti dal sito originale della Nutella. Dopo aver ottenuto un grande traffico, il malintenzionato si rivolge direttamente a Ferrero per vendere il dominio creato, al fine di eliminare il danno che stava creando.
Ma come possiamo tutelare la nostra azienda da questo fenomeno?
Sicuramente, possiamo acquistare tutti i domini che si ricollegano alla nostra azienda.
Se, per esempio, il nostro dominio principale è natidigitali.it, acquistare anche i vari .org, .net, .com, etc… può essere un ottimo modo per scongiurare questo pericolo!
I meta-tag
Un altro ottimo esempio di concorrenza sleale sul web sono sicuramente i meta-tag, che forse conosci meglio sotto il termine “keywords” o parole chiavi.
Questo è un argomento un po’ più spinoso perché presenta diverse sfaccettature che potrebbero essere di difficile comprensione. Cerchiamo di spiegarle nella maniera più semplice possibile.
È assolutamente illecito usare, all’interno delle proprie parole chiave, termini corrispondenti a segni distintivi altrui. Se devo pubblicizzare una bibita gassata, non posso utilizzare la keyword “Coca Cola”.
L’utilizzo di meta-tags simili era molto utilizzato per “ingannare” i motori di ricerca e far comparire il proprio sito web durante la ricerca di un altro prodotto. Con l’avvento di strumenti come Google Ads, questa situazione è letteralmente precipitata. Di conseguenza si è ritenuto necessario andare a regolare questa attività.
Ma esiste un caso nel quale il titolare di un marchio non può vietare l’utilizzo di meta-tags proprietari: se questi vengono utilizzati in una campagna pubblicitaria comparativa, purché non arrechi pregiudizio.
Cosa significa tutta questa frase così complessa?
Mettiamo caso che un’azienda medica sta compiendo uno studio sulle differenze tra Coca Cola e Pepsi: se volesse pubblicizzarlo, potrebbe tranquillamente utilizzare le keywords “Coca Cola” e “Pepsi”.
Ma perché questo?
Perché ha semplicemente condotto una campagna di comparazione tra i due prodotti e non sta andando a sottolineare un discorso del tipo “compra questa perché è meglio” oppure “compra questa perché fa meno male”.
Sta semplicemente mettendo a confronto due dati oggettivi: questo è un caso nel quale l’utilizzo di meta-tags proprietari non ricade nella concorrenza sleale!
Linking e framing.
Come i meta-tags, anche il linking ed il framing possono causare gravi danni di immagine ad un’azienda rinomata o molto conosciuta. Queste due “tecniche” consentono di ingannare gli utenti confondendoli circa i contenuti dei siti web che stanno visitando.
Ma andiamo ad analizzare nello specifico queste due terminologie.
Il linking viene diviso in due categorie:
- Surface linking: quando si inserisce un link ipertestuale all’interno del proprio sito che rimanda alla home page di un altro sito. Questa pratica risulta essere lecita al 100%, perché l’utente che clicca su questo link riesce a tracciare il percorso, non generando confusione.
- Deep linking: questa pratica è molto borderline, perché è molto facile creare confusione nell’utente. Consiste nel linkare all’interno del proprio sito una pagina interna di siti altrui, senza passare dalla homepage. Per essere lecito, questo collegamento deve essere facilmente riconoscibile (aprendosi in una nuova scheda del browser, ad esempio)
Il framing, invece, consiste nell’integrare all’interno di un sito web “A” una pagina web “B”, visualizzandola all’interno di una cornice.
In questo modo, il sito “B” è visibile all’interno di altre pagine web che non possiede, generando così confusione nell’utente che non riesce a riconoscere la corretta provenienza delle informazioni pubblicate.
Il framing è considerato come concorrenza sleale perché, oltre a confondere l’utente, si configura anche come sfruttamento parassitario di un’attività altrui.
Typosquatting, mouse trapping e page-jacking
Chiudiamo questo importantissimo articolo con ulteriori 3 esempi di concorrenza sleale, forse quelli più comuni o che abbiamo visto più spesso in giro per il web.
- Typosquatting: possiamo legare questa pratica al domain grabbing, ma con una differenza molto importante. Mentre con il secondo si andava a “rubare” un dominio, con il typosquatting il malintenzionato va a registrare un dominio con un refuso, al fine di intercettare il traffico internet derivante da errori di battitura dell’URL (ad esempio, registrare il dominio natidifitali.it).
- Mouse trapping: quante volte sei rimasto intrappolato all’interno di una pagina web perché ti si continuano ad aprire pop-up vari ed eventuali? Questa è una tecnica di concorrenza sleale, perché va ad aumentare esponenzialmente il tempo medio sulla pagina, ingannando così gli algoritmi dei motori di ricerca e posizionando “in alto” il sito web.
- Page-jacking: come suggerito dal nome, questa pratica consiste nel copiare spudoratamente una pagina di un sito noto all’interno del proprio sito web. Solitamente, il page-jacking viene collegato all’utilizzo dei meta-tags per posizionare il proprio sito e fuorviare il traffico in ingresso.
Tutte queste condotte sono considerate illecite in quanto vanno a confondere l’utente, con il rischio di influenzare in proprio favore il suo processo d’acquisto. Inoltre, alcune di queste vanno a ledere il diritto d’autore di aziende concorrenti.
Nel caso in cui tu sia stato vittima di una di queste tecniche, hai la possibilità di rivolgerti all’autorità giudiziaria per ottenere il giusto risarcimento, che può variare dalla chiusura del sito web truffaldino, fino ad un risarcimento danni.
Ma, ancora più importante, ora hai una panoramica completa su quelle che sono le principali pratiche di pubblicità scorretta: fai molta attenzione quando configuri le tue campagne pubblicitarie o quando crei un sito web!
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